Rubia tinctorum L.

  • Forma biologica: H scap
  • Nome comune: Robbia domestica
  • Famiglia: RUBIACEAE
  • Tipo corologico: W- e C-Asiat.

Erba rampicante, fusto tetragono con 4 ali cartilaginee, foglie in verticilli di 6, lanceolate e ruvide. Fiori bianchi o giallastri, in pannocchie ascellari sui rami terminali.
Frutto: bacca nera lucida.

Pianta erbacea perenne della famiglia Rubiaceae, ad andamento strisciante, con fusto e foglie ricoperti da aculei rivolti verso il basso. Da aprile a giugno la pianta produce dei piccoli fiori con corolla gialla, raggruppati in infiorescenze a 'pannocchia' che lasciano il posto a frutti tondeggianti, nerastri e lucidi (bacche) al cui interno è presente un solo seme.

Coltivata in passato in tutta Italia per le sue proprietà tintorie, e raramente naturalizzata, è oggi in via di scomparsa.

Il nome Rubia deriva dal latino ruber ‘rosso’ ed indica che la pianta era ben conosciuta nel mondo romano proprio per le sue qualità tintorie.

Dalle radici e dai fusti sotterranei della robbia si estrae un principio colorante rosso, l’alizarina che, fissato nei tessuti con un mordente minerale, conferisce ad essi una tinta rosso violetto solida, indelebile e lucente.

I coloranti naturali erano utilizzati fin dal Neolitico in Europa, a testimonianza dello sviluppo molto precoce della tecnica tintoria; vari reperti archeologici, tra i quali quelli rinvenuti presso il lago di Ledro, in Trentino, ove era insediata una comunità di palafitticoli dell’età del bronzo (2200 – 1350 a.C.), testimoniano l’impiego di piante tintorie tra cui la robbia, il guado (Isatis tinctoria) e l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi). Queste specie vegetali, insieme a poche altre, continuarono ad essere utilizzate per millenni dall’uomo.

Le proprietà tintorie di questa pianta erano note ai Persiani, agli Egizi e, ancor prima, in India. Dagli scritti di Ippocrate e Teofrasto sappiamo che era conosciuta dai Greci, Dioscoride scrive che era coltivata nella zona di Ravenna, Plinio il Vecchio parla di piantagioni nei dintorni di Roma; quest’ultimo nel I sec. d.C., nella Naturalis Historia (XXXV), elogia la lacca rossa ottenuta dalla Rubia tinctoria per il suo potere colorante ma ne elogia anche le proprietà medicinali. Eraclio in De coloribus et artibus romanorum scrive che, combinata con allume, era utilizzata per tingere di rosso il cuoio.

Si hanno poi testimonianze di diffuse coltivazioni di robbia in tutto l’impero di Carlo Magno (VIII sec.) e del suo uso durante il Medioevo.

Nel 1300 a Milano, ma soprattutto a Firenze, si annoverano circa 300 laboratori artigiani per la lavorazione della lana e la tintura dei tessuti con pigmenti naturali, tra cui la robbia, secondo una regolamentazione molto rigida che consentiva di raggiungere risultati di grande effetto.

La robbia ha poi conosciuto una notevole fortuna nei secoli XV e XVI, particolarmente in ambito fiammingo, e dal ‘500 cominciò ad essere utilizzata su tela. Nel cinquecento a Lanciano, in Abruzzo, in occasione delle famose fiere, insieme ai panni di lana prodotti localmente ed in altre regioni, venivano commercializzati grandi quantitativi di robbia, guado ed altri pigmenti.

Nel XIX secolo fu usata per tingere i pantaloni rossi delle uniformi dei soldati francesi.

Il suo utilizzo declinò dopo il 1868 quando due chimici tedeschi, Carl Graebe e Carl Liebermann, stabilirono la struttura dell’Alizarina e riuscirono a riprodurla sinteticamente. Nonostante ciò, la robbia continua ancora oggi ad essere coltivata localmente ed utilizzata nell’artigianato asiatico ed africano e per tingere la lana dei tappeti di produzione artigianale, soprattutto in Persia.

L’estrazione del colore dalla robbia viene effettuata pestando i rizomi freschi e ponendoli poi a macerare in acqua per circa 10 h. Al termine si filtra il tutto e si lascia decantare per circa 2h. Il pigmento ottenuto si può applicare in bagno di tintura al tessuto precedentemente trattato (mordenzato) con allume, ottenendo tinte rosse abbastanza chiare, tendenti all’arancione, dette in passato Rosso Turco.

Questo nome deriva dall’uso che ne veniva fatto in Turchia  per la tintura dei tipici fez.

Il colorante ottenuto è utilizzato per tingere il cuoio e fibre tessili come il cotone, la lana, il lino; largamente usato anche miscelato con altri coloranti in pittura ed in miniatura. L’intensità e la tonalità del colorante varia in funzione del mordente usato (sali metallici o idrossidi usati per fissare il colorante al substrato), con toni che vanno dal rosso al rosa, all’arancio, al lilla, al marrone, al nero.

Erba antisettica, diuretica, con azione astringente, deterge piaghe e ferite.

Dal latino ruber (= rosso) per il colore della tinta che si estrae dalle radici, tinctorum (= dei tintori).

 

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